Ilenia Corradin

Psicologa e Psicoterapeuta Junghiana a Reggio Emilia

Inizia un percorso di terapia junghiana per indagare le ragioni profonde delle tue difficoltà emotive e comportamentali: diventa autonomo nel risolvere i tuoi ostacoli interiori ed esteriori e aumenta il tuo stato di benessere.

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Psicoterapia Junghiana

La psicoterapia è un processo creativo tra psicoterapeuta e paziente: chi sceglie di intraprendere un percorso di psicoterapia lo può fare perché mosso da un malessere, oppure perché vuole imparare a conoscere davvero se stesso. Ogni paziente è un caso unico, così come la soluzione del problema è sempre individuale.

I punti fondamentali della Psicoterapia Junghiana

Attenzione

al simbolico

Immaginazione

attiva

Interpretazione

dei sogni

Aree di intervento

Imposto le mie sedute di terapia basandomi sulla psicoterapia junghiana, metodo che presuppone l’esistenza di un inconscio personale fatto di contenuti personali rimossi e un inconscio collettivo, il mondo degli Archetipi, gli “a priori” di ogni idea, che influenzano il nostro modo di essere nel mondo; entrambi vengono esplorati nel sogno e nel simbolo.

Trattamento disturbi d’ansia

Depressione - Psicoterapia Junghiana

Terapia di coppia e genitoriale

Psicoterapia per ludopatia e dipendenze

Perché iniziare un percorso di psicoterapia con me

Nel mio studio si può trovare un’atmosfera accogliente, dove non si viene giudicati e si può esprimere pienamente il proprio essere, lavorando sull’inconscio attraverso il simbolico e i sogni.



Ciò che contraddistingue il mio modo di lavorare è il costante aggiornamento sui diversi approcci, elemento grazie al quale posso integrare i punti di forza di ognuno, costruendo il miglior percorso di terapia possibile, basato sulle vere esigenze del paziente.

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Accoglienza

Empatia

Integrazione di approcci diversi

Lavoro sull'inconscio

Blog

Scopri tutti gli aggiornamenti, le curiosità e le novità sul mondo della psicoterapia junghiana e della psicologia nel mio blog.

Autore: Ilenia Corradin 04 dic, 2023
Chiacchierata con Ilenia Corradin - Psicologa e psicoterapeuta, dove si affronta l'argomento legato al femminismo
Autore: Ilenia Corradin 17 mag, 2023
Durante la crescita il bambino si costruisce una idea del perché succedono delle cose e sulle loro conseguenze, sul perché su alcune cose ha successo e in altre fallisce; questo è alla base di un atteggiamento ottimista o pessimista. Dalla nascita il bambino sperimenta varie cose: camminare, parlare, relazionarsi, e spesso i genitori si chiedono se stanno facendo il meglio per il loro figlio, per far si che cresca educato e sicuro di sé. Spesso per fare ciò si tende a far fare molte esperienze al bambino, dargli molte informazioni e fargli fare molto sport, ma anche il genitore più attento rischia di fare degli sbagli. Ormai si è certi che non è la disciplina e neppure il metodo di studio come nemmeno l’inondazione di informazioni ciò che darà la garanzia che il proprio figlio abbia successo e sia felice; ciò che è fondamentale è la “cura sensibile”. La società di oggi ci porta a chiedere tanto e a volte troppo ai bambini: essere i migliori, a scuola c’è molta competitività, tanti sport o attività extrascolastiche…insomma, gli viene chiesto di diventare grandi a discapito del viversi la propria infanzia. Diversi studi dimostrano che un’educazione accademica precoce non migliora i risultati nel lungo periodo. Le caratteristiche del “buon genitore” 1. Amare il figlio incondizionatamente Ciò di cui ha bisogno il bambino non è solo il soddisfacimento dei bisogni primari quali essere nutrito, vestito e tenuto al sicuro, ma addirittura diventano secondari a quelli emotivi. Un bambino che si sente desiderato, guardato e amato è un bambino che cresce forte e sicuro, in grado di sperimentare i propri talenti per perseguire la propria autonomia. L’autonomia fa si che il bambino si costruisca la sua autostima: solo se il bambino ha fiducia nell’ambiente che ha intorno, nei suoi genitori e in se stesso può essere tranquillo nello sperimentare cose nuove. I bambini sono molto attenti ai nostri comportamenti e sono molto intuitivi, percepiscono molto bene l’accettazione e il piacere condiviso, così come il rifiuto, la delusione o l’irritazione. 2. Rispettare i sentimenti del figlio Proprio questa accettazione incondizionata dovrebbe portare i genitori a considerare il figlio un essere autonomo, con i propri interessi e le proprie peculiarità, mentre molto spesso, al contrario, viene considerato come una estensione di noi stessi, a volte per poter “far fare a lui ciò che non ho potuto far io “o “far si che lui diventi ciò che avrei voluto essere io”. 3. Non sottovalutare le priorità del figlio Condividere con il figlio ciò che a lui piace 4. Ascolto empatico È l’attenzione del genitore a ciò che prova il bambino, il connettersi emotivamente col proprio figlio che fa sì che lui stesso riesca poi ad essere empatico verso gli altri. I genitori che applicano la cura sensibile sono coloro che percepiscono le esigenze del figlio e rispondono rapidamente e in modo adeguato. Molte ricerche hanno dimostrato ampiamente che la qualità delle cure ricevute durante l’infanzia hanno un impatto molto profondo sulla qualità della vita da adulto; sono i primi anni di vita che determinano la nostra personalità. Quindi sono l’amore e la sensibilità sopratutto nei primi anni di vita e non le attività extrascolastiche e nemmeno la pressione a dover far meglio a fare una significativa differenza nella vita dei bambini, per far si che diventino adulti felici. Ciò che il bambino percepisce è ciò che noi siamo, non tanto ciò che gli facciamo fare.
Autore: Ilenia Corradin 07 apr, 2023
Mi succede spesso, sia nel mio lavoro, ma anche nella vita privata, di conoscere persone che cercano in tutti modi di piacere e compiacere, adattandosi in ogni modo alle richieste che gli altri fanno rischiando di vivere come gli altri vorrebbero che fossero, più che come sono realmente. Questa è la “Sindrome della brava bambina” In generale queste persone tendono a mettere in secondo piano loro stesse, i loro bisogni e i loro desideri, per seguire ciò che gli altri vorrebbero da loro, in modo particolare per quanto riguarda la loro famiglia. Chi ne soffre si sente spesso inadeguata e tende ad avere un atteggiamento passivo: non dice mai nulla che possa ferire l’altro ed evita il conflitto; soffre di una bassa autostima e scarsa fiducia in sé. Le brave bambine tendono a non arrabbiarsi e a non andare mai in contrasto con gli altri poiché questo può portare a essere valutate in modo negativo e, qualora questo dovesse succedere, si prodigano per far cambiare idea all’altro poiché non riescono a tollerare che l’altro possa avere un giudizio negativo di loro. Un’altra caratteristica di questa sindrome è quella di considerare più vera l’opinione altrui rispetto alla propria, con un disconoscimento di sé e del proprio pensiero. Spesso le "Brave bambine" provano ansia quando vengono criticate e spesso si chiedono quale sia la loro colpa, dando per scontato che siano loro in difetto; la consapevolezza, spesso inconscia, di essere influenzate a tal punto dai giudizi degli altri può portare ad attacchi di panico . Spesso chi soffre di questa sindrome tende a manifestare disturbi psicosomatici come cefalee, dermatiti, disturbi gastrici e insonnia. L’origine di questa tendenza ad agire può dipendere da diversi fattori, in primis la famiglia. Spesso queste persone hanno vissuto in famiglia dove si doveva faticare molto per sentirsi approvati, ma anche la scuola, con la presenza di professori molto esigenti, può essere una condizione favorevole per il suo sviluppo. I bambini ad un certo punto mettono alla prova i confini mettendo in atto sfide, e, se queste vengono affrontate dai genitori con eccessiva disapprovazione che sfocia talvolta nel disprezzo, il bambino pensa che tutto ciò che esce da questi confini porterà via l’amore e solo comportandosi in un certo modo, impeccabile e perfetto, sarà meritevole di coccole e attenzioni. Questa dinamica si può verificare anche nei rapporti totalizzanti con un partner idealizzato o in una relazione tossica. Una delle trappole in cui possono incappare queste persone è quella della dipendenza affettiva, dove si è disposti a qualsiasi cosa pur di essere amati; l’essere amati diventa una ossessione. Nel lavoro terapeutico verso la riscoperta di sé, dei propri bisogni e del proprio valore, spesso viene sperimentato il senso di colpa poiché questo viene inteso come egoismo: è molto importante quindi soffocare l’Io autogiudicante che inibisce il proprio sè. Un ulteriore passaggio importante verso l’autoafermazione di sé consiste nel capire che è possibile esprimere il dissenso in maniera costruttiva, che è possibile avere una opinione diversa senza dover arrivare necessariamente ad una rottura, ma, allo stesso tempo tenere in considerazione e accettare che non si può piacere a tutti e che gli altri potrebbero avere una idea negativa di noi. “Non è mai troppo tardi per iniziare a scegliere e ad agire per sé stesse; solo così sarà possibile Ri-conoscersi”
Autore: Ilenia Corradin 23 nov, 2022
“Mi ricordo ancora quando ho conosciuto Claudio, era bello, gentile, attento e possessivo. Mi diceva “Tu sei mia”, quanto mi sentivo importante, era proprio come l’avevo sempre sognato. Eravamo sempre più innamorati, lui voleva stare sempre con me, anche se poi avevo sempre meno spazi per le amiche e anche per me, ma in fondo è cosi che si comportano le persone innamorate. Abbiamo iniziato a litigare per cose futili, ma per lui erano importanti e me lo gridava in faccia quanto fossi stupida a non capirlo, e pian piano ho capito che lo ero davvero, aveva ragione. Poi un giorno ho proprio esagerato, ho detto una cosa molto stupida e mi ricordo ancora quello schiaffo…il rumore, ha fatto male..mi sentivo molto umiliata. Ne sono poi seguiti tanti altri, sempre perché io parlo troppo, sono stata stupida, l’ho detto ancora, dovevo tacere. Non erano gli schiaffi che facevano male..era piuttosto l’idea di valere così poco, di meritarmi quello che stava succedendo. E poi ho sempre pensato che lui fosse cosi, ma mi amava, ho iniziato a sperare che un giorno potesse cambiare. Questo giorno non è mai arrivato, gli schiaffi sono diventati calci e pugni e io avevo sempre più paura…finché un giorno ho detto BASTA!” Quando parliamo di femminicidio e di violenza più in generale ci riferiamo a una violenza agita sulle donne da parte di uomini in nome di una credenza di origine patriarcale, dove l’obiettivo è quello di annientare l’identità dell’altro, generando insubordinazione e assoggettamento, fino ad arrivare alla schiavitù e alla morte. Chi si trova in una posizione sottomessa (spesso la donna, ma ci sono anche frequenti casi in cui sono uomini) arriva sempre più a perdere la propria autonomia, indipendenza anche economica, la libertà di scelta, e a dipendere in vari aspetti dal partner, che avrà sempre più potere. Ci sono diverse forme di violenza che vanno da quella fisica, volta a far male e a spaventare, a quella psicologica, con insulti, ricatti, umiliazioni, volta a ledere l’identità della persona. Questo tipo di violenza viene spesso nascosta, sottostimata o non riconosciuta e ha un carattere ricorsivo in un crescendo di gravità: per la vittima diventa un susseguirsi di umiliazioni, vessazioni, che possono includere insulti personali (“Non capisci niente”, “sei stupida”), svalutazioni legate ai ruoli sociali (“non vali niente come moglie/compagna/madre”), svalutazione dei risultati conseguiti, ridicolizzazioni in pubblico, controllo generalizzato (delle mail, social, telefono, controllo delle spese), accuse e attribuzione di colpe da parte dell’abusante rispetto ai comportamenti da lui a giti (“è colpa tua se faccio così”, “se tu fossi diversa questo non accadrebbe”) e minacce di ripercussioni su di lei o su persone a lei care qualora la vittima non obbedisse. La violenza sessuale prevede l’imposizione di pratiche e/o rapporti indesiderati attraverso l’utilizzo della forza o attraverso ricatti mentre quella economica, prevede che la donna non abbia il permesso di essere indipendente e pertanto sia costretta a rimanere col partner perché non riesce a mantenere sé stessa e i figli. Le persone che subiscono da tanto tempo abusi e violenze arrivano a sviluppare una alterata percezione di sé e delle proprie risorse personali, portandole a pensare di non essere in grado di diventare indipendenti sia psicologicamente che economicamente; viene lesa l’integrità della loro identità. Lenore Walker parla di Ciclo della violenza come di un vortice in cui la donna viene inghiottita composta da 3 fasi principali. La violenza si manifesta per gradi: all’inizio tutto è bello e normale, poi iniziano episodi che colpiscono l’autostima della partner e questa tende ad essere accondiscendente per evitare l’escalation della violenza, ma la conseguenza è che nell’uomo si radica il diritto di reagire con la violenza. La seconda fase è quella della “esplosione o aggressione” dove l’aggressore perde il controllo e agisce violenza fisica, spesso accompagnata da quella sessuale per sottolineare il proprio potere e predominio; la donna tende a non reagire poiché si rende conto che se reagisse le cose potrebbero peggiorare. La terza è la “Luna di miele” dove l’aggressore, in modo molto manipolatorio, si scusa e si dice pentito. In questa fase spesso le donne cedono o tendono a ritirare la denuncia o la richiesta di separazione, salvo poi ricadere nuovamente nel ciclo della violenza. Ma che caratteristiche psicologiche hanno le vittime di violenza? Le dinamiche vanno ricercate in ambito familiare e sociale, in particolare si è visto come le donne vittime di femminicidio tendano mettere in atto l’ “incapacità appresa”, ovvero chi è ripetutamente esposto ad una punizione da cui non ha vie di fuga, tende a non assumere il controllo del proprio comportamento anche quando ne avrebbe la possibilità, mia continuano a pensare che non ci siano alternative. L’alternanza dell’abuso fa si che le donne non affrontino il problema, considerando l’abuso una eccezione in un rapporto percepito complessivamente come positivo. Gli uomini che agiscono violenza sono persone prepotenti, possessive ma anche molto insicure, che hanno talmente paura dell’abbandono da provare panico che si traduce in violenza. Secondo Elbow ci sono 4 tipi di aggressore: Colui che teme che la propria autorità e dominio siano messi in discussione e pretende un controllo totale sugli altri; Colui che non contempla l’altrui autonomia che percepisce poi come una possibilità di essere abbandonato Colui che deve sempre avere conferme e qualsiasi critica è vissuta come un attacco alla propria autostima e reagisce in modo violento Colui che vive in simbiosi con la partner e la minaccia di perderla significa perdere una parte di sè. Le conseguenze della violenza possono essere devastanti; si è verificato che i maltrattamenti familiari sono paragonabili negli effetti psicologici ai disastri naturali, alle guerre e ai sequestri di persona. Le vittime posso sviluppare non “solo” ansia, vergogna paura, ma hanno anche un rischio 5/6 volte superiore di sviluppare depressione, possono sviluppare un vero e proprio Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) e hanno il rischio dalle 2 alle 6 volte superiore di sviluppare un cancro alla cervice uterina. Inoltre secondo la University College di Londra, i bimbi esposti a violenza domestica mostrerebbero gli stessi cambiamenti, a livello cerebrale, dei veterani di guerra. Solo poco più dell’11% elle donne denuncia il proprio aggressore anche a causa dell’isolamento sociale e solitudine in cui vivono. I dati ISTAT ci dicono che il 31,5% ( 6 milioni 778 mila) delle donne tra i 16 e i 70 anni hanno subito una forma di violenza Il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subito violenza fisica e il 21% (4 milioni 520 mila) ha subito violenza sessuale Il 5,4% (1 milione 157 mila)ha subito uno stupro (652 mila) o un tentato stupro (746 mila). Nel 2022 ad oggi ci sono state “solo” 48 vittime di femminicidio: 1 donna ogni 6 giorni muore per la violenza che proviene da un uomo. Cosa fare dunque? La prima cosa non è attivare le forze dell’ordine, bensì contattare un Centro Anti Violenza (numero 1522) in modo da avere una rete di supporto per essere aiutate e sostenute.
Autore: Ilenia Corradin 21 set, 2022
“Gli uomini hanno paura di abbandonare le loro menti, perché temono di precipitare nel vuoto senza potersi arrestare. Non sanno che il vuoto non è veramente vuoto, perché è il regno della via autentica” (Huang Po) Il termine vacanza deriva dal latino “vacare” ovvero essere vuoto, libero. Si intuisce come i concetto di vacanza vada ben oltre al viaggiare e ostentare vizi che vengono fatti 15 giorni l’anno. Vacanza è fare vuoto nella mente, “essere vacui, vuoti” come suggerisce la stessa etimologia. Fare questo significa potersi permettere di rilassarsi anche in mezzo al caos, cosicché diventi una pratica pressoché quotidiana e non concentrata in sole 2 settimane l’anno. Se riduciamo la vacanza ad un periodo confinato, rischiamo di diventare dei “Liberti”, ovvero, nell’antica Roma, gli schiavi liberi, che però mantenevano sempre una relazione di sudditanza con il loro padrone, come se continuassero, almeno psicologicamente, ad essere schiavi; quante volte mentre siamo in vacanza continuiamo a guardare le mail di lavoro o a pensare a come risolvere o affrontare una questione lavorativa una volta rientrati dal lavoro…in uno stato psicologico di “schiavi del fare”. Cerchiamo quindi ogni giorno di dedicarci alla cura di noi stessi, regalandoci un momento per entrare nell’Oblio e cercare i Silenzio. Il vuoto è una sorgente che si sta realizzando, dove il tuo essere sta creando e dove la tua opinione razionale conta meno di niente. Il vuoto ti ricorda che non ci sono stili, preconcetti o modelli da seguire, ma bisogna lasciare spazio all’energia creatrice, la nostra vera essenza. “La mente non ha bisogno di essere riempita, ma, come la legna da ardere, di una scintilla che la accenda” Plutarco Il seme si nasconde nella terra per creare le piante, l’uovo fecondato è al riparo nell’utero. Quando ci rifugiamo in noi stessi entriamo nell’uovo cosmico, come amavano dire gli alchimisti, nel cervello c’è una impronta originaria che ininterrottamente crea in me. Questa energia creatrice si sprigiona se riusciamo a tenere lontano noi stessi…da noi stessi: ciò che non conosciamo è sempre superiore a ciò che conosciamo. Un concetto che mi è molto caro è quello del percepire il nostro lato di vuoto, ovvero il poter essere presenti senza aver nulla da dire, ne a sé e nemmeno agli altri. “Lascia cadere il secchio, cosicché l’acqua sfugga via, e con essa la luna. Solo questo ti permetterà di alzare lo sguardo e vedere la vera luna nel cielo; ma prima devi avere conosciuto il sapere del vuoto, devi lasciar cadere il secchio della tua mente, dei tuoi pensieri: non più acqua né luna. Il vuoto nelle mani” (Jung - Libro Rosso) Il vuoto è visto come un lasciare spazio al nuovo che arriva, una dimensione di disponibilità per ciò che si desidera e una dimensione aperta alla creatività: scoprire ciò che sei, ciò che vuoi, ciò che ti piace e ciò che non ti piace. Andare alla scoperta di te stesso, di pensieri nuovi, di atteggiamenti nuovi, nuove emozioni e nuove paure, nuove tristezze, e scoprire che queste, inaspettatamente, abitano dentro di te. Scoprire i desideri di cui ti sei dimenticato. Dedichiamoci ad osservare ed accogliere la nostra energia creativa che spesso ci sfugge, distratti dal quotidiano e dai pensieri. Allora buone vacanze, e non solo in Agosto! Il mio augurio è quello di poter ritrovare un po’ di vuoto per accogliere il vero “noi stessi”
07 giu, 2022
L’uomo moderno crede di perdere qualcosa – il tempo – quando non fa le cose in fretta; eppure non sa che cosa fare del tempo che guadagna, tranne che ammazzarlo…” E. Fromm
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